Dieci domande a… Klaus Nennewitz, “papà” della Aprilia Tuono

Gianluca Salina

Abbiamo chiacchierato di moto con Klaus Nennewitz, il “papà” della Aprilia Tuono, che ci ha raccontato com’è nata quella che può a tutti gli effetti essere considerata la prima supernaked dell’era moderna.

Dicembre 2001, al Motor Show di Bologna, Aprilia presenta in anteprima la RSV Mille Tuono Limited Edition, supernaked derivata dalla RSV Mille. Inizialmente prodotta in soli 200 esemplari diventerà, come la sorella sportiva, il fiore all'occhiello della casa di Noale, anticipando di diversi anni il mercato per quanto riguarda le maxinude. La moto porta la firma di Klaus Nennewitz, un tedesco che, oltre ad essere un fine tecnico, è anche un vero appassionato di due ruote.

A diciannove anni di distanza da quel momento abbiamo raggiunto Klaus, parlando con lui ovviamente di moto, ed in particolare della Tuono, progenitrice di quella Aprilia Tuono V4 che ancora oggi viene considerata uno dei riferimenti assoluti della categoria.

Quella che in origine doveva essere una, per molti versi, classica intervista, si è trasformata in una chiacchierata in cui è emersa tutta la passione di Nennewitz, che lo ha portato a raccontare numerosi episodi della sua vita professionale in ambito motociclistico e dare una sua visione del mercato odierno, con riferimento anche ed ovviamente al segmento delle supernaked.

DDG-Magazine: Klaus, il tuo nome è legato indissolubilmente alla storia del motociclismo quale "padre" della Aprilia Tuono. Da cosa è nata, quell'ispirazione?

Klaus Nennewitz: "Sono approdato in Aprilia nel gennaio 1994…col botto! Dopo gli studi di ingegneria a Monaco di Baviera, un anno e mezzo come meccanico presso la ATK Motorcycles in California ed un anno con la Engines Engineering di Bologna, scrivendo la tesi sullo sviluppo della ciclistica dello Scooter Malaguti F 12 Phantom, l’Aprilia mi assunse come progettista in area tecnica. Dopo 10 giorni, c’era la moto ufficiale RX 125 di Stefano Passeri pronta in reparto esperienze. Il compianto Ettore Baldini mi permise di provarla… sull’asfalto ghiacciato, senza casco e senza protezioni. Risultato: dopo un’impennata davanti a tutti la ruota anteriore perse aderenza al contatto col suolo… scivolata di 30 metri, moto ufficiale ed abbigliamento (prestato) distrutto, ma uomo salvo! Da lì la strada fu in salita per un po', poi contribuii al progetto della RS 250 ed infine divenni responsabile progetto dell'Aprilia Pegaso 650 Cube e, della Aprilia SL 1000 Falco. Dopo la Falco ci fu una riorganizzazione all’interno dell’ufficio tecnico ed io divenni uno dei due responsabili dell'area moto. Giravo le carte, controllavo gli altri, i costi ed i Gantt di sviluppo, ero diventato come uno statale annoiato (e non era bello!). 
Cominciavano a vendere bene le naked come Triumph Speed Triple, Ducati Monster e Honda Hornet 600, quindi decidemmo di fare delle proposte di nude anche noi. Partimmo con una SL 1000 Falco spogliata, ma come la moto base non era un grande successo commerciale e si temeva che, partendo da una moto “sfigata”, non avremmo mai potuto essere vincenti sul mercato. Quindi analizzammo meglio il mercato per capire i numeri che si facevano nelle cubature intermedie, cioè fra 600 e 800 cc, con le varie Honda Hornet, Suzuki SV 650 ecc. In quella cilindrata il prezzo era importantissimo. 

Al tempo poi era nata l’idea, ma non mi ricordo dove e da chi, di partire con un motore Rotax bicilindrico a V stretto (credo intorno ai 60 gradi) utilizzando i gruppi termici delle loro motoslitte. Basamento per cilindrata da 800 a 1200 cc, monoalbero in testa, il progetto si chiamava “Flex”.
Due gruppi di progetto partirono leggermente sfasati con una moto naked ed una specie di Pegaso. La nuda del mio gruppo fu la prima ad andare in strada e la provammo anche in pista a Nardò nel Dicembre 2001. 
La riunione strategica decisiva con il presidente Beggio si tenne il 12 Settembre 2001, un giorno dopo gli attacchi alle torri gemelle di New York, un fatto che ci rese paralizzati ed incapaci di preparare bene gli input per un progetto molto difficile sotto diversi punti di vista: il basamento del motore era gigantesco e con i gruppi termici del 800 diventava una scultura ridicola. Poi, col V stretto comunque i gruppi termici non si vedevano dietro al telaio, quindi perdevamo sempre la sfida estetica con la Ducati Monster, che metteva in bella mostra i due cilindri classici raffreddati ad aria. E non ultimo i costi del motore: impossibile arrivare ad una lista della spesa in casa Rotax che ci potesse permettere di applicare un prezzo competitivo sul mercato contro le moto giapponesi.
La riunione fu un disastro: tutti scombussolati dai fatti storici della giornata precedente, il presidente arrabbiato perché non eravamo capaci di tirare un coniglio fuori dal cilindro. Progetto senza prospettive. Desolazione mondiale.
Nei giorni successivi ci riunimmo in tre: marketing, capoprogetto e il sottoscritto, giurandoci di non uscire della stanza prima di aver trovato una soluzione. Fumo bianco!

Avevamo capito che si doveva partire dalla nostra ammiraglia, la RSV Mille, che stava dando tante soddisfazioni all’azienda a livello commerciale e la cui ciclistica era diventata il riferimento delle moto sportive, specialmente la versione restyling 2001. Era nata l’idea di trasformare la RSV Mille in una versione naked.
L’incarico venne dato a Giuseppe Riciutti del centro stile, papà della RSV Mille originale. La realizzazione della maquette di stile si svolse tranquillamente in sordina, quasi dimenticato dalla dirigenza…e da me! Ogni tanto si intravedevano telai e forcelloni dorati o pezzi in carbonio girando per l’azienda, ma non ci facevo caso. 
La maquette venne presentata al Motor Show di Bologna nel Dicembre 2001, insieme alla prima Mana e alla MotoGP 2002. Contemporaneamente, un meccanico “amico” del reparto esperienze venne incaricato di allestire un prototipo funzionante per una prima prova su strada. Al rientro, il meccanico venne a trovarmi in ufficio tecnico, ancora vestito da moto per dirmi: “Devi provare la moto, non ci crederai!”
E così fu, il giorno dopo, poco prima di Natale 2001 uscimmo insieme in una giornata terribilmente fredda e densa di “caígo”, la nebbia veneziana. Sulla strettissima strada monocorsia che affianca la riviera del Brenta da Malcontenta verso Fusina nella laguna di Venezia ci demmo il cambio e passai dalla RSV Mille di serie sulla RSV col manubrio alto. 
La moto mi colpì nei primi metri per l’ergonomia azzeccata col busto eretto ed il bel serbatoio fra le gambe. Sotto, il ruggito da potenza cruda e sincera, ovviamente ancora senza drive by wire. Ero cresciuto col manubrio da cross, già il mio passeggino aveva il manubrio alto (cit. Roberto Ungaro). Non ero un gran pilota da strada, i manubri bassi non mi erano mai piaciuti e non ero mai riuscito a strisciare col ginocchio per terra nelle curve con le supersportive. 
Ma questa moto stradale qui era tutt’un’altra cosa: controllo totale e potenza a mani piene. Amore a prima… prova. Incondizionato!
Al ritorno in azienda parlai subito col direttore tecnico offrendogli di prendere in mano il progetto e di portarlo in produzione in tempo per la stagione 2002. Fu una scommessa ardua e delicata. Ma sapevo di poter contare su un gruppo di persone bravissime, ma annoiate come me della mancanza di coraggio (e di progetti) nella fase iniziale della crisi Aprilia.  
Partimmo a testa bassa come una volta: semplicemente facendo, niente chiacchiere, sul pezzo, sempre, giorno e notte. E tutti e quattro sempre insieme, correndo…. 

Nel maggio del 2002 la prima Aprilia RSV Mille Tuono entrò in produzione esattamente nel giorno previsto dal business-plan di Dicembre 2001. Il resto è storia (e sono storie) di un progetto che ha dato ancora respiro ad Aprilia per alcuni anni prima della fine dell’era “Beggio”.
Sono stato estremamente fortunato di aver ereditato un progetto straordinario, sano e fatto molto bene e cioè la base tecnica della RSV Mille creata da Marino Carlesso, Mariano Fioravanzo, Giuseppe Ricciuti, Maurizio Comellato, Claudio Pellizzon e tutti gli altri che avevano contribuito in maniera significativa. 
Io non ho “progettato” la Tuono da zero, l’idea di fare una maxinaked era di Andrea Bosi, di Luca Balduino e del sottoscritto. Credo che il merito mio sia stato di aver creduto nel progetto e di aver gestito un gruppo di gente appassionata con dedizione, entusiasmo e tenacia.
Sono stato fortunato… ad essere stato invitato alla presentazione stampa al Mugello dall’allora responsabile del ufficio comunicazione, Claudio Pavanello e dalla sua collaboratrice Federica Zane. I giornalisti erano stufi delle presentazioni sterili ed erano aperti a lasciarsi infettare dalla passione sfrenata che questo lavoro e questo progetto mi avevano regalato. 
Quindi, sicuramente anche questo fuoco di entusiasmo e di passione che ero riuscito ad accendere nella stampa mondiale grazie anche alle impennate e le strisciate per terra con le saponette sul Muraglione ha fatto sì che mi fosse assegnato il titolo “papà della Tuono”. Siamo stati in tanti ad allevare il bimbo, ed il mio contributo fondamentale è stato di arrivare sul mercato nei tempi previsti rispettando le specifiche tecniche. Inoltre, ho creato una risonanza mediatica notevole che fu anche riconosciuta allora dal presidente Ivano Beggio, di solito molto geloso sulle apparizioni altrui in pubblico.
Come tradizione mia invitai il team di progetto, composto da Gianluca Camillo, Michele Melitta ed il meccanico Stefano Guzzon, a cena a Venezia per festeggiare. Ci fu l’acqua alta quella notte e ci trovammo navigando su un divano gonfiabile in piazza San Marco bevendo prosecco con i piedi in ammollo insieme agli artisti della Biennale. Degna conclusione di un happening d’altri tempi ed inizio di una nuova stirpe motociclistica."

DDG-Magazine: E' secondo te corretto affermare che la Tuono abbia forse precorso troppo i tempi, sorte peraltro poi toccata anche ad un'altra illustre esponente del segmento supernaked, vale a dire la Streetfighter di Ducati?

Klaus Nennewitz: "Potrebbe essere. Alla presentazione stampa al Mugello un giornalista inglese ci disse che anche la Honda aveva provato a spogliare una maxi sportiva, la CBR 900. Poi aggiunse che si erano “spaventati dalla moto”. Dopo la Tuono non mi sono più interessato tanto al segmento delle maxi naked, anche per via del mio passaggio alla Derbi a Barcellona. Inoltre avevo dato tutto per la Tuono al suo tempo, eravamo arrivati “sulla luna” per mettere la bandiera, quello che seguiva non mi interessò più di tanto. Comunque la Tuono era arrivata sul mercato nel momento giusto per l’Aprilia dando delle soddisfazioni commerciali non indifferenti."

DDG-Magazine: A distanza di quasi 20 anni dall'arrivo sul mercato della "tua creatura", come vedi oggi il segmento delle supernaked?

Klaus Nennewitz: "Mio malgrado non sono aggiornatissimo sugli ultimi modelli. Le maxinaked che ho provato ancora qualche anno fa alla comparativa Alpenmaster di MOTORRAD non mi erano piaciute per l’ergonomia troppo caricata sull’avantreno. Io personalmente preferisco una moto potente con più stabilità. Devo ammettere però che fui colpito in maniera positiva dalla pulizia di erogazione dei motori. Il design degli ultimi modelli non mi dice niente. Ci si perde troppo nel design sofisticatissimo delle “staffette di supporto”, perdendo la visione globale dell’insieme. Le moto naked odierne non mi piacciono, sono violente ed aggressive. Io seguo la filosofia del mio scrittore preferito, Andreas Altmann chi dice che “l’umanità ha bisogno di bellezza per sopravvivere”.

DDG-Magazine: Più di un collega, all'epoca, firmando il pezzo del lancio stampa della Tuono, scrisse scherzosamente che avevi progettato la moto che avresti voluto guidare. Se oggi dovessi metterti al lavoro sullo stesso concetto, che moto progetteresti?

Klaus Nennewitz: "Come ho detto prima sono cresciuto sulla moto da fuoristrada. Ogni mezzo che guido su uno sterrato, sia una bici, un trattore, una moto stradale o una macchina scassata, mi riempie di una gioia enorme. L’anno scorso ho partecipato al Hard Alpi Tour da Sanremo a Sestriere in sella ad una Fantic Caballero 500 Rally che mi ha dato delle soddisfazioni enormi. La moto ideale per me deve essere una “all terrain” per arrivare dappertutto, magari bicilindrica e con la possibilità di trasportare anche un passeggero. Autonomia discreta senza strafare come la ultima Husqvarna 701 col bruttissimo serbatoio da 25 litri. Protettività aerodinamica discreta e sistemi modulari per trasporto bagagli. Una moto che segue la filosofia eterna dei tecnici Gutsche e Rapelius, entrambi ex BMW e creatori dei primi prototipi negli anni '70 che portarono alla genesi della R 80 G/S. Loro le chiamavano “moto per ricerca di funghi”, la parola tedesca in slang bavarese sarebbe il famoso ma impronunciabile “Schwammerlsuchmaschine”. Detto in maniera italiana sarebbe la “Ciaccia-Bike”, la moto che il mio amico giornalista e compagno all’ultima HAT, Mario Ciaccia, sta chiedendo da anni. Visto che nessuno la vuole fare, forse sarebbe veramente il caso di tornare in officina quest’estate…"

DDG-Magazine: Restando ad oggi, qualcuno afferma che con le sportive, ma anche con le supernaked da esse strettamente derivate, si stia esagerando quanto a prestazioni. Qual'è il tuo parere di progettista ma anche di esperto motociclista?

Klaus Nennewitz: "Ho lavorato per alcuni anni come istruttore federale di guida sicura su strada all’interno della scuola GSSS del mio amico Carlo Cianferoni a Polcanto in Toscana. In mezzo a tanti motociclisti intelligenti ed aperti ad ascoltare per migliorare la tecnica di guida ho visto tante pecore nere, delle cose allucinanti! Gente incapace, prepotente e pericolosa in sella a moto con oltre 200 CV di potenza. Nelle scuole di guida per la patente non si impara come guidare bene una tale moto. Malgrado avessi sempre corso nel motocross, trial o rallye ero anch’io un pessimo pilota da strada che seguiva delle linee “a caso”. Con una moto qualsiasi, più ancora una potente, è importantissimo seguire le linee giuste e di non attraversare MAI la linea di mezzeria. Cianferoni mi ha insegnato questo nel 2005. Da allora, il mio modo di guidare è cambiato completamente, anche per quanto riguarda la guida della macchina!
Io renderei obbligatorio al momento dell’immatricolazione di una moto il fatto di avere l’attestato di partecipazione ai corsi di guida come GSSS per sensibilizzare i piloti sulla sicurezza. Alla fine non serve molto, sono 10 regole che devono essere capite bene ed anche applicate! Con la partecipazione al corso darei degli sconti sulle assicurazioni. O le case moto potrebbero contribuire al costo. 
Credo che ormai siamo arrivati oltre ogni limite di prestazioni per l’uso su strada e che si debba limitare l’uso dei siluri con oltre 200 Cv alla pista. Io non vado più in moto il fine settimana sulle strade frequentate dagli smanettoni. Amo la vita."

DDG-Magazine: L'elettrico è indicato come il futuro, è davvero così?

Klaus Nennewitz: "Nel 2009 ho partecipato alla prima gara “Mondiale” per moto elettriche, l’“Eco Enduro” in Danimarca con le Quantya (con ciclistica derivata dall’ Enduro 50 cc Cagiva). C’erano delle speciali di notte nel bosco, in Dicembre. Si sentiva solo ed esclusivamente il proprio respiro accelerato. Un’esperienza fantastica, unica che ti può regalare solo la moto elettrica!
La moto elettrica avrà un futuro come commuter per un range inferiore ai 50 km fra andata e ritorno. Con percorsi più lunghi, non si possono raggiungere soluzioni valide in termini di peso, costo ed autonomia che rendono la moto elettrica veramente competitiva. 
Non abbiamo le strutture e la rete per alimentare tutti i veicoli elettrici che i politici vorrebbero sulle strade, poi ci sono notevoli problemi di fornitura delle materie prime ed il riciclaggio e lo smaltimento delle batterie non è ancora risolto. L’Hype dell’elettrico viene creato da gruppi di industriali con specifici interessi senza guardare il quadro globale.
Vedo prospettive interessanti nel fuoristrada dove l’autonomia e le prestazioni sono più perspicue e la silenziosità dei veicoli è fondamentale per continuare a praticare la disciplina."

DDG-Magazine: Quanto spazio c'è ancora, secondo te, per il motore termico, nel medio-lungo periodo?

Klaus Nennewitz: "Dobbiamo rinunciare alla follia di pretendere motori omologati Euro 5 ed oltre con 200 passa cavalli per l’uso su strada. Se saremo disposti ad accettare potenze più umane, potremo continuare ad usare motori endotermici ottimizzati e puliti. C’è ancora tanto potenziale! Le 125 indiane consumano intorno a 2 litri su 100 km. Io preferirei andare in giro con una 400 “Adventure” pulita con 35 CV e 140 kg che consuma meno di 4 litri e che mi dà un’autonomia sufficiente invece di una moto elettrica con 200 passa chili, potenza alle stelle ma autonomia insufficiente. Per tutto il resto, per chi vuole la libidine della potenza senza limite…c’è l’uso in pista!"

DDG-Magazine: Spesso si sente dire che, un po' come avviene in ambito automobilistico, anche nelle moto c'è una progressiva standardizzazione del design. Trovi questo sia vero?

Klaus Nennewitz: "Per i miei gusti abbiamo oltrepassato la fase di standardizzazione e siamo nella fase di esagerazione come avevo indicato prima. Sarà anche per il fatto che non sono più giovanissimo e quindi mi ritrovo meglio con disegni “belli” nel senso della bellezza di Altmann. Per la innata natura umana di osservare, di modificare e di migliorare ed ottimizzare, sempre con uno sguardo alla concorrenza, siamo arrivati al punto di avere le moto da Cross quasi tutte uguali e tutte ugualmente perfezionate per svolgere il loro compito dedicato nella migliore maniera possibile. Nel settore delle moto sportive si sta arrivando ad un punto simile anche se alcune aziende fanno dei salti mortali per staccarsi con soluzioni tecniche molto ricercate che, però non sembrano dare il riscontro desiderato a livello prestazionale…"

DDG-Magazine: Qual'è stato il viaggio più emozionante in sella che hai fatto?

Klaus Nennewitz: "In verità non sono proprio un viaggiatore! I primi viaggi in moto li ho sempre fatti da solo, soffrendo la solitudine. Quindi, da questo punto di vista niente di bello da raccontare! 
Il più bel periodo in sella ad una moto l’ho vissuto in California fra il 1989 ed il 1991 quando lavoravo come meccanico da corsa alla ATK di Los Angeles. Con un gruppo di “selvaggi” l’unico obbiettivo della vita era di sfidarsi nel deserto della California durante i weekend. Corse interminabili sulle strade sterrate, affiancati con i migliori amici nelle salite interminabili del Mojave Desert. Notti interminabili intorno al falò, paesaggi da indescrivibile bellezza. “On any Sunday” di Steve Mc Queen ci faceva un baffo, “Mercoledi da leoni” in sella alla moto da fuoristrada, ogni weekend, tutto l’anno. Ne ho scritto un servizio su Motocross di Dicembre 2019.
Dopo il mio ritorno in Europa ho trovato per alcuni anni grandi soddisfazioni nel mondo dei rallye. Nel novembre 2004 mi ero allenato in Tunisia insieme a Fabrizio Meoni e Maurizio Sanna. Avevo grandi ambizioni, purtroppo svanite fra lesioni, o detto meglio, per fortuna. Non avevo la testa e la freddezza per sopravvivere ad un rallye africano, mi sarei ammazzato…
Comunque ho goduto tanto nei deserti africani in sella alla mia KTM 660 Rallye: Tunisia, Libia, Marocco.
Oggi ho un parco moto composto da quasi tutte le moto che ho progettato nella mia vita: Aprilia Tuono 1000, Derbi Mulhacèn 659 e 125, ATK 604, Yamaha XT 540 “Dakar”…mi godo quelle sui percorsi segreti e nascosti on/off della Germania centrale."

DDG-Magazine: Cosa c'è, nel futuro di Klaus Nennewitz, "dueruotisticamente" parlando?

Klaus Nennewitz: "Dal 2019 lavoro come giornalista freelance per alcune riviste e siti Internet nel mondo. Sto collaborando anche come consulente tecnico con varie aziende. Mi piacerebbe riprendere anche l’attività da istruttore di guida e guida/organizzatore di viaggi adventure come una volta. Vedremo…"

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