Rolling To Dakar – Viaggio in moto a Dakar – Ep.3 Senegal

Riccardo Fanni

Viaggio in moto verso Dakar, attraverso Marocco, Mauritania e Senegal, Ricky The Road ed il team Azzurrorosa affrontano un viaggio indimenticabile attraverso la rotta trans-sahariana numero uno per eccellenza, non senza imprevisti. Sole, sabbia, avventura ed un gruppo di nuovi amici scoprono il mondo che cambia sotto le loro ruote. Il Senegal ci accoglie con i suoi mille colori, bambini e pieno di vita, e porteremo anche un po’ id gioia ad una scuola nel sud del paese

Basta pronunciare la parola “Dakar”, per rievocare, in ognuno di noi amanti o no dei motori, le mitiche corse nel deserto, tra fatica, sabbia, incidenti e pericoli. Ma per un motociclista è qualcosa di diverso, il pensiero corre subito al mitico ideatore Thierry Sabine e campioni del calibro di Meoni, Orioli, Peterhansel, Coma e tanti altri.

Mi chiamo Riccardo Fanni, alias Ricky The Road, e questo è il mio viaggio da Milano a Dakar, col mio fidato KTM 1190 Adventure (qui l'episodio in Mauritania) Un motociclista semplice, proprio come voi, che affronta un viaggio indimenticabile e dai sapori unici.

Insieme a Mirco Bettini, il suo Azzurrorosa Rally Team e altri appassionati, abbiamo percorso l’itinerario che porta dall’Italia al Senegal, con l’obiettivo di vivere il susseguirsi di culture, tradizioni, persone, usanze e luoghi, assaporando metro per metro la strada che corre sotto le nostre ruote, guidati dalla voglia di scoprire e dall’esperienza di un uomo che di sabbia, rally e gare ne ha fatto la passione di una vita.

Che entriate in Senegal da Rosso o da Diama poco importa, la prima tappa quasi obbligatoria è Saint Louis, cittadina in puro stile coloniale con i suoi quartieri popolari ed il mercato del pesce, una tipica città dell'Africa Occidentale: caotica, pittoresca, multicolore. Interessante la zona del porto, dove i pescatori mettono ad essiccare buona parte del pescato notturno su impalcature di legno, cospargendo di sale il pesce.

Entriamo a buio già inoltrato, la frontiera ci ha portato via la seconda parte del pomeriggio, regalandoci uno spettacolo di suoni, luci e colori unici, indelebili, dove un ordine caotico regna sovrano, dove pensi di non riuscire ad arrivare in fondo alla via, da quanta gente, animali e carretti deambulano sulla strada. Ma in pochi minuti arriviamo all’Hotel De La Poste, sull’Isola collegata dal famoso ponte in ferro Faidherbe, un palazzo in puro stile coloniale, con il cortile interno reso vivace da palme e vegetazione locale, dai 1000 colori e odori.

Tappa obbligata, una cena al ristorante della struttura, di fronte alla lingua di mare, gustando un tipico piatto di filetto di Zebu con contorni diversi, mentre la serata prende una piega di grande relax, vivacità e spensieratezza. La Mauritania sembra un lontano ricordo, una sorta di limbo, girone dantesco fatto di sabbia, vento e surrealità, dove il tempo perdeva significato e gli spazi si moltiplicavano. Per un certo verso è un peccato, come se fosse passata troppo velocemente, giusto il tempo di assaporarla rimanendone sbigottiti, prima di entrare in questo paradiso di colori e sapori cosi forti e permeanti.

La mattina la dedichiamo a visitare la parte storica della città, tra il mercato del pesce e la parte popolare, dove migliaia di bambini sembrano gli unici abitanti del territorio. Per farlo lasciamo le nostre moderne moto parcheggiate e scegliamo un carretto trainato da un mulo. Si chiama Michael Jackson, comandato dal suo fantino, un ragazzo giovane e pimpante che risponde al nome di Alfa.

Una città caotica, dove centinaia di persone vivono in strada, dove l’età media della popolazione è bassissima e la disoccupazione sfiora il 20% nei centri abitati. Passiamo in quartieri dove gli abitanti colorano, con vernice e tessuti, ogni angolo delle strade, dove la vita si svolge in comunità lungo i marciapiedi, dove centinaia di bambini giocano insieme accanto ai grandi che vendono, cucinano, discutono, scambiano, qualsiasi cosa, in un mix di rumori, sguardi e modi di porsi completamente diversi dai nostri.

Lungo la spiaggia arrivano le barche di legno dei pescatori, e sembra una festa. Decine di persone tengono saldamente la cima di prua per mantenerla arenata al fondale sabbioso, che, bellissimo, non sfigurerebbe al confronto con rinomate spiagge della Sardegna. Sabbia chiara, fine e mare turchese, accompagnano un cielo terso volgendo lo sguardo all’orizzonte. Abili braccia portano il pescato all’interno delle vie, dove passerà di mano in mano decine di volte, risultando probabilmente, la principale fonte di entrata economica della zona.

Per il pomeriggio, prevediamo una tappa verso il Lago Rosa, con solo circa 200 km, che si rivelano lunghissimi considerato che la velocità media risulta molto bassa. È un susseguirsi di paesi, al cui interno, ai lati della strada, decine di donne e bambini vendono qualsiasi tipo di mercanzia, dalla frutta a barattoli con dentro chissà quale tipo di cibo. La terra ai lati è rossa, la vegetazione tipica della savana, con qualche albero di baobab che ogni tanto funge da punto di riferimento.

Guidiamo lenti, per assaporarci la magia del posto, cercando di cogliere quante più informazioni e ricordi possibili, prima che il Lago Rosa ci accolga a serata entrante, con un tramonto unico e raro. Una cena, ovviamente a base di pesce sulla riva, ci porta a conclusione della serata, nel silenzio e relax più totale.

Arriveremo a Dakar nel primo pomeriggio dell’indomani, passando per qualche km di autostrada, dopo averne approfittato per fare il giro del lago su una sterrata di sabbia, fango, sale ed un sole caldissimo.

 

 

Dakar – M’Bour – Foua – Dakar

L’idea originale del viaggio, non era solo quella di arrivare alla punta estrema occidentale dell’Africa, ma anche di avere fini umanitari, andando a visitare una scuola a sud della capitale, finanziata dalla Fondazione Fabrizio Meoni Onlus, pilota connazionale tragicamente scomparso, proprio durante una Dakar, nel 2005.

Quando Mirco, nelle settimane precedenti al viaggio, ne ha parlato ai partecipanti, ha trovato un ampio riscontro positivo, essendo entusiasti di poter fare qualcosa, seppure una piccola goccia in un oceano di disagio, per queste persone meno fortunate di noi occidentali. Fabrizio Meoni disse una volta che l’Africa gli aveva dato tanto, ed in qualche modo avrebbe voluto ricambiare, per quanto possibile. Già nei suoi ultimi anni, in modo riservato e poco appariscente, aveva avuto modo di portare aiuto alla fascia più debole della popolazione, i bambini. La nostra dunque sarebbe stata un’ottima occasione per andare a verificare lo stato di avanzamento dei lavori di ristrutturazione e portare dei prodotti nostrani alla scuola rurale di Foua 2, provincia di M’Bour.

Non si hanno problemi nel trovare benzina in Senegal, praticamente ogni pochi km si trova un distributore, più o meno moderno, d’altronde, la quantità di motorini che circolano impone tanta capillarità, decisamente diverso rispetto a Mauritania e Sud Marocco.

La mattina partiamo in direzione Foua Fassane, uscendo dalla città tramite l’autostrada, per cercare di macinare quanta più strada possibile in poco tempo. In ogni caso, circa 50 km di strade rurali e secondarie ci aspettano, per raggiungere la scuola che si trova all’interno del paese, a qualche decina di km dalla costa.

M’bour è la classica cittadina secondaria del Senegal, dove la principale fonte di reddito è data dalla pesca, avendo a disposizione un oceano molto pescoso, proprio di fronte a Capo Verde. Caotica, colorata, affollata, dove una strada principale asfaltata separa a metà il centro abitato, composto da costruzioni basse e talvolta fatiscenti. La popolazione non sembra abituata a vedere viaggiatori su moto come le nostre, anche se il turismo è abbastanza sviluppato, con resort e spiagge incantevoli poco più a nord.

Per arrivare alla scuola di Foua, costruita in mezzo alla savana, attendiamo il nostro contatto locale alle coordinate GPS concordate, il quale ci porta, attraverso una strada battuta in terra rossa, a vie secondarie che si addentrano tra casette in paglia e fango e poche costruzioni in muratura. La percezione di come vive la popolazione cambia nettamente, e più ci si addentra verso est più si fatica a comprendere di cosa sia costituita l’economia locale, per quel poco che possa essere sviluppata.

Arriviamo, ad un certo punto, ad una casetta di circa 60 metri quadrati, tra sabbia e paglia tutto intorno, parcheggiamo le moto ed entriamo con grande rispetto. È domenica, ma le maestre sono riuscite a raggruppare un centinaio di bambini, dove generalmente ne contano circa il doppio. Sono vivaci, dagli abiti coloratissimi ed i più grandicelli non vedono l’ora di giocare con noi, in una sorta di “nascondino” universale, tra la curiosità e lo stupore degli adulti del posto.

Siamo abituati ad osservare scene simili solo in televisione, dove però la mancanza dei suoni, dei profumi e delle sensazioni non rendono assolutamente l’idea di quello che si possa provare di persona. Penso che ognuno di noi, in questa situazione, abbia maturato dei sentimenti molto personali ed intimi, difficilmente condivisibili se non con un sorriso di circostanza.

Avere la consapevolezza di aiutare, di portare anche un solo piccolo briciolo di progresso, con la costruzione di una scuola, di un pavimento, di un bagno, di una mensa, di un recinto per evitare che gli animali selvatici possano intrufolarsi tra i bambini, ci riempie di gioia.

Una goccia di ordine ed umanità in un mare di bisogno, provando la sensazione positiva di aver portato allegria, anche per un solo giorno in tutto l’arco dell’anno, con i nostri aiuti come cibo, panettone, biscotti e materiale per la scuola.

La scuola di Foua esiste per merito dell’Associazione, possiede banchi, lavagna, gessetti, un bel cortile all’ombra di un baobab, e tutto questo rimarrà, non esiste solo oggi, 5 Gennaio 2020.

Ognuno di noi porterà intimamente, come ricordo, le sensazioni e le emozioni vissute in quel momento, ben diverse da un documentario visto in televisione nella comodità del proprio salotto.

Ripartiamo verso nord con 29 gradi e la consapevolezza di aver vissuto e donato un gesto umano meraviglioso; la strada ora sembra più leggera e meno impegnativa dell’andata. Dakar ci riaccoglie nuovamente con il suo solito traffico, lo smog, i colori e le contraddizioni tipiche di una metropoli africana. Mentre attraversiamo la città, passiamo a visitare il Monumento al Rinascimento Africano, imponente statua di bronzo, alta 50 metri, rivolta verso l’oceano.

Giunge cosi, l’ultimo giorno e la conclusione del nostro viaggio nella profonda Africa, è arrivato il momento di andare tutti insieme verso il porto per poter spedire le moto in container, verso l’Italia, insieme a furgone e carrello, mezzi che ci hanno accompagnati per tutto questo incredibile viaggio, non privo di difficoltà, fatica, entusiasmo e scoperta.

Torneremo in Italia in volo aereo carichi di gioia, speranza e consapevolezza, arricchiti dalla visione di quel mondo che scivolava via sotto le nostre ruote, tra le sue consuetudini, contraddizioni, bellezze e fragilità.

Un sentito ringraziamento, in ordine molto sparso, ai miei compagni di avventura: Claudio Fiori, Fabrizio Tavani, Gabriella Gasparetti, Roberto Bertozzini, Alessandro Corsi, Alessandro Giuffrida, Riccardo Menegazzi, e, non ultimo, Mirco Bettini e Miria Amadori.

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Riccardo Fanni – Ricky The Road

 

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