Supersportive 600 a 3 e 4 cilindri: avranno un futuro?

Gianluca Salina

Le supersportive 600 hanno avuto un ruolo importante nella recente storia delle due ruote, ma presente e futuro sono quanto mai incerti, almeno in Europa. Il cambio di preferenze degli utenti in favore di naked e crossover e la crescita degli investimenti necessari, tra le altre, a fare fronte alle più recenti normative anti-inquinamento, hanno determinato l’attuale situazione. Vedremo dunque mai il rifiorire di modelli capaci di far sognare più di una generazione di motociclisti?

La crisi del comparto moto originata  dalla pandemia ancora in corso non ha fatto altro che aggravare situazioni di difficoltà preesistenti in alcuni segmenti di mercato, come quello delle supersportive 600, già in agonia da diverso tempo. La prova di questo ne sia la progressiva sparizione, dai listini europei, delle varie Honda CBR 600 RR, Kawasaki ZX-6RSuzuki GSX-R 600.

Le eccezioni sono date dalla MV-Agusta F3-675 e dalla Yamaha YZF-R6. La 3 cilindri varesina è, di fatto, l'ultima esponente del lotto ancora regolarmente in vendita che può circolare su strada, ma è Euro 4, ergo quelli che si trovano nelle concessionarie sono gli ultimi esemplari disponibili, commercializzati in deroga come prevede la normativa UE. Anche la 4 cilindri di Iwata non è omologata Euro 5, pertanto la moto viene venduta nelle versioni Race e GYTR, entrambe destinate unicamente all'utilizzo in circuito/aree private.

Honda-CBR 600 RR

Discorso a parte merita Triumph. Anche il brand di Hinckley ha seguito la corrente, togliendo dal listino la gloriosa Daytona 675 nel 2016, alla vigilia dell'entrata in vigore delle normative Euro 4. La moto è stata poi sostituita, tre anni dopo, dalla Daytona 765, un modello prodotto in serie limitata e motorizzato con il tricilindrico di 765 cc che costituisce la base delle unità impiegate in Moto 2.

Con la modifica del regolamento nel mondiale Supersport, da quest'anno il marchio inglese vedrà schierare la sua carenata al via del campionato. Di fatto però, il modello stradale è stata venduto solo nel biennio 2019-2020 e questo nonostante il suo stesso propulsore equipaggi anche la naked Street Triple 765, segno evidente che ad Hinckley ritengono al momento poco interessante il segmento di mercato delle supersportive.

Kawasaki ZX-6R USA

Anche se la tendenza dell'ultimo periodo evidenzia un ritorno di interesse verso le sportive, c'è una importante differenza, rispetto al passato: oggi l'utenza è attratta da moto meno estreme, con i semimanubri sopra la piastra superiore e non sotto come hanno le race-replica. In virtù di questo, ecco così arrivare sul mercato modelli come la Aprilia RS 660 e la Yamaha R7, sportive sì, ma bicilindriche (in linea), con cavallerie, assetti ed ergonomia alla portata praticamente di tutti.

Il teorema si applica a tutti i modelli che non siano i top di gamma (1000 cc ed oltre) di ogni casa. L'eccezione è data dal fatto che le maxi rappresentano una isola a sé perché vetrina tecnologica delle aziende che le producono. Anche in questo caso comunque, i loro volumi di vendita sono in ogni caso nettamente inferiori a quelli dell'epoca d'oro quando cioè, su dieci moto vendute, oltre la metà erano carenate.

Suzuki GSX-R 600

Alle nuove medie di Noale e Iwata potrebbero a breve unirsi analoghi modelli di Kawasaki (Kawasaki Ninja 700: nuova media sportiva da Akashi?), Suzuki e di altri brand ancora. Si tratta di moto che oggi rappresentano l'estensione verso le medie cilindrate di un segmento a cui appartengono le varie Honda CBR 500 R, Kawasaki Ninja 400 (anche se per la casa di Akashi si vocifera il ritorno di una SS 400 a 4 cilindri, Kawasaki ZX-4R: ormai pronta l’erede della ZXR 400?) e Yamaha R3.

Questi modelli, che abbiamo più volte identificato come world-bike, sono in grado di generare volumi di vendita interessanti in tutto il mondo, sia come moto per neo-patentati nei mercati premium quali l'Europa, che come prodotti top di gamma nei paesi emergenti. Il quadro che si viene così a definire porta a pensare che il capitolo delle supersportive 600 sia al momento chiuso, almeno per il Vecchio Continente.

MV-Agusta F3 675

Scarse vendite, unite ad ingenti investimenti che sarebbero necessari per lo sviluppo di nuove moto e nuovi motori che devono essere obbligatoriamente in linea con le sempre più stringenti normative anti-inquinamento, hanno fatto operare precise scelte alle case. Il risultato è l'attendismo insieme allo sfruttamento, su molti mercati, dei modelli esistenti (negli USA le SS 600 sono tutte regolarmente in vendita ed a listino c'è anche quella Suzuki GSX-R 750 che tanto manca a parecchi rider), i cui costi di sviluppo sono, auspicabilmente, già stati ammortizzati.

L'aumento del benessere nei mercati emergenti farà certamente spostare verso l'alto la cilindrata dei motori top di gamma, come sta già avvenendo ora in molte nazioni in cui fino a pochi anni fa 250-300 cc venivano considerate grosse cubature (la cosa può far sorridere, ma è così), mentre oggi in quelle stesse nazioni una moto "grande" è un 400-500. Il numerino magico derivante dall'aumento della domanda potrebbe pertanto convincere le case ad investire su nuovi modelli in un segmento superiore per rispondere ad una crescita in termini di sostanza della richiesta.

Yamaha YZF-R6

Ecco che, fermo restando la necessità di crescita della cultura motociclistica in quelle nazioni (perché una 600 race-replica non è soltanto un mezzo di trasporto, quanto piuttosto un oggetto emozionale) potrebbero rientrare in gioco le supersportive 600, magari non prima di un ulteriore passaggio intermedio, dato da quelle 650-700 bicilindriche con semimanubri che oggi si stanno facendo largo in Europa e che diventerebbero così a loro volta delle world-bike.

Già, l'Europa. Qui la situazione è decisamente più complicata, perché oltre ai desiderata dell'utenza, le normative Euro ci mettono del loro. Non è questa la sede per questionare su quanto abbia senso o meno continuare a spingere in una direzione un comparto che non può essere paragonato, per volumi e frequenza di utilizzo, a quello delle quattro ruote, ma il dato di fatto è che certi modelli, all'ombra del Vecchio Continente, non è conveniente svilupparli, produrli e venderli.

Triumph Daytona 675 SE

Oggi, ad un costruttore, un nuovo modello di SS 600, 750 o 1000, costa non meno di 30-35 milioni di Euro. Se non cambia il mercato nostrano (e non ci sono elementi per prevedere che questo avverrà a breve), chi mai potrebbe convincere i vari produttori a fare un investimento di quelle proporzioni, a fronte di un ritorno di poche, molto poche, migliaia di esemplari venduti? Il tutto ammesso e non concesso che l'utenza rivoglia davvero questo tipo di moto.

In una era in cui ogni movimento finanziario delle aziende viene centellinato, per i brand è molto più semplice e redditizio, loro malgrado, il continuare a monetizzare i capitali spesi per lo sviluppo di modelli già esistenti, vendendoli nelle nazioni in cui ancora si può. Ecco perché, purtroppo, nel breve e medio termine non ci sono possibilità di un ritorno delle supersportive 600 pluricilindriche carenate sulle nostre strade e che, con l'elettrico alle porte, si ritrovano ad essere figlie e vittime di una epoca forse chiusa per sempre.

Triumph Daytona 765

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